Eravamo rimasti alla domanda: su cosa si fonda il mio senso di colpa?
Non è razionale, abbiamo detto. Dunque, è irrazionale. Ma deve comunque fondarsi su qualcosa. Irrazionale non significa senza senso. Significa con un senso che non è razionale. Ma comunque con un senso.
Mi domando se, al di là di tutto, c’è qualcosa che io avrei potuto fare di diverso per accontentare questi uomini.
Avrei potuto pagare il parcheggio con la carta, ma è una procedura ancora più complicata e mi imbroglio ancora di più. Avrei potuto scaricare la app per il parcheggio, ma io uso così poco l’auto, è raro che io vada a posteggiare nei parcheggi a pagamento.
Dunque per me la cosa più semplice è usare il contante.
E per la bottiglietta d’acqua e il barista? Sarei potuta andare ad acquistarla al supermercato, lì di certo non ci sarebbero stati problemi per il pagamento. Però il supermercato era distante, il bar era lì, a fianco del parrucchiere, così comodo. Di nuovo ho fatto quello che è più semplice per me.
Qui ho fatto delle scelte. Idealmente avrei potuto optare per altre scelte, meno vantaggiose per me e forse più vantaggiose per gli altri. Invece ho optato per le possibilità più semplici e più comode per me.
Non ho pensato al parcheggiatore (pur sapendo che ci sarebbe stato, non era la prima volta che parcheggiavo lì) e non ho pensato al barista.
Non ho pensato al PADRE (inteso come figura, come metafora). Ho pensato a me.
Questo per me è sufficiente per sentirmi in colpa.
Per rendermi la vita semplice, l’ho complicata all’uomo, al padre. Per stare comoda io, ho scomodato l’uomo, il padre. Voglio vivere la mia vita a modo mio, come va bene a me. Ma voglio che mio padre mi approvi, mi riconosca, mi capisca. Voglio che non sia arrabbiato con me, che sia contento, che non si lamenti.
Che io ricerchi questo, denota che non sono una persona adulta (emotivamente parlando), ma una bambina che ricerca l’approvazione del papà.
L’intensità del mio senso di colpa (quando entro dal parrucchiere sento davvero un magone nel petto, quasi, quasi, una voglia di piangere) mostra anche quanto io sia abituata a occuparmi del papà. Quanto per me sia abituale, normale, direi quasi naturale mettere da parte le mie esigenze, i miei bisogni per occuparmi di quelli del papà.
Se osservo dall’esterno queste situazioni mi è lampante che non sta a me occuparmi delle necessità di quesi uomini: l’ambulante che sta al parcheggio si affida alla carità delle persone, ma certamente avrebbe bisogno di un lavoro per potersi mantenere. E il barista si affida al fatto che i clienti arrivino con i soldi giusti, quando dovrebbe in qualche modo organizzarsi per tenere del contante in cassa.
Anche loro sono bambini (emotivamente parlando) che fanno affidamento su qualcun’altro, su una mamma (interessante quello che fa la signora al bar, che interviene per pagare e placare la situazione).
Dunque, che cos’è che la vita mi sta dicendo che ho bisogno di imparare da queste situazioni?
Ho bisogno di imparare a smettere di sentirmi in colpa.
Permettermi di crescere, di fare la mia vita, a modo mio, senza pre-occuparmi continuamente per l’altro.
Questo permette anche all’altro di crescere.
Perchè il bambino, finchè c’è la mamma che provvede a tutto, non ha bisogno di crescere.
Lasciare che l’ambulante sia frustrato, senza caffé. Che il barista senta la frustrazione, senza resto da dare.
La frustrazione, l’impotenza non sono necessariamente negativi. Sono anche l’impulso per dire “E’ ora di cambiare! E’ ora di fare qualcosa! Di organizzarsi diversamente!”.
Finchè qualcun’altro ci risolve i problemi, non cresciamo.
Per concludere, la ciliegina sulla torta: quando sono ritornata al parcheggio, mezz’ora dopo la scadenza del pagamento, ho trovato una multa. I vigili erano passati dieci minuti prima, il tempo per la sosta era scaduto da un quarto d’ora e mi hanno fatto una multa.
Se non sono in grado di organizzarmi a sufficenza per me, come posso pensare di occuparmi dei bisogni di qualcun’altro?!
Non è degli altri che mi devo occupare, è di me. Sempre di più, ancora di più, ancora meglio.
E’ verso me stessa che ho bisogno di provare dispiacere e di sentirmi in dovere, per non tralasciare più le mie necessità e i miei bisogni, nemmeno in parte.
Questo è onorare il Padre e la Madre.