Sono nata in Friuli, terra di confine e di emigranti. Mi é sempre piaciuto studiare le lingue e, fino a poco prima di iscrivermi all’università, volevo diventare interprete.
Quando parliamo due lingue diverse non ci capiamo e c’è bisogno della traduzione.
Ma quante volte in famiglia, pur parlando tutti la stessa lingua, non ci capiamo e ci sarebbe bisogno di una “traduzione”?
La mia carriera è iniziata così!
Andando avanti, però, mi sono resa conto sempre di più che “capire” non basta. Le prove che mi trovavo ad affrontare nella vita influivano sul mio stato mentale, emotivo e anche fisico.
Pur capendo quello che mi succedeva, il mio stato d’animo e le situazioni in cui mi trovavo non cambiavano.
Mi sono resa conto che capire non è comprendere. Una persona può capire qualcosa, senza necessariamente comprenderla.
Com-prendere è “prendere con sé” ciò che si è capito e farlo proprio, impegnandosi e comportandosi di conseguenza.
Questa consapevolezza mi ha condotta alla ricerca di cosa non “prendevo con me”, pur capendolo. Mi sono resa conto che dovevo andare a guardare quello che non avevo voglia di guardare.
Le spiegazioni che mi davo, che in realtà erano giustificazioni; le cose che facevo, che in realtà non avevo voglia di fare; e quelle che non facevo, che in realtà avrei dovuto fare.
Da quel momento ho iniziato a guardare agli avvenimenti della vita da una prospettiva del tutto diversa rispetto a prima. Non più “Perché mi succede questo?!”, ma “A che scopo mi accade questo?”, per cercare di rispondere all’unica domanda che dovremmo porci davanti a ogni prova, piccola o grande che sia: