Eccoci di nuovo per provare a rispondere a una domanda molto importante e che getterà un bel po’ di luce sul perchè questo sassolino continua a darmi fastidio, nonostante sia passato tanto tempo e nonostante a me sembri di averci ragionato su…
La domanda su cui ci eravamo lasciati era: che cosa porgo io alla donna seduta a tavola insieme al piatto del dolce?
Davanti: la facciata, la mia identità socialmente accettabile, il personaggio che interpreto: una donna gentile, servizievole, che si alza da tavola quando tutti restano seduti, che dice all’amica “Ti dò una mano…”, porta il caffè e il dolce in tavola porgendolo con un sorriso ai commensali.
Dietro: nell’ombra rimane tutto quello che non solo non combacia con la mia immagine, ma anche quello che reputo che la deturperebbe e la renderebbe inaccettabile: tutta la mia negatività fatta di preconcetti, credenze, pregiudizi “guarda se qualcuno si dà una mossa… comodo farsi servire mentre una sola lavora… chi lavora e si dà da fare è una persona migliore di chi sta senza far niente…” e via di seguito.
Ma non solo: nell’ombra rimane anche un grande desiderio che io reprimo (poichè lo giudico inaccettabile) di stare senza fare niente, seduta in attesa di essere servita, a riposarmi e godermi il pranzo e la compagnia delle altre persone in un fine settimana che per me è come una piccola vacanza. La repressione di questo desiderio mi provoca rabbia e desiderio di ribellione.
Tutto questo io porgo insieme al piatto con il dolce.
E questa donna, a qualche livello, lo percepisce. Risuona con me. E rispedisce il messaggio al mittente.
Perchè lei è l’altra polarità mia (quella che io reprimo). Siamo alle polarità opposte (e complementari).
Lei ha scelto di mettersi nella posizione di quella che, al sabato, va a trovare un’amica per passare un momento di svago, riposarsi, rilassarsi e farsi ospitare.
Io vado ospite da un’amica e ospito (lavoro) io.
La invidio (perchè anch’io vorrei rimanere seduta), la ammiro (perchè ha il coraggio di fare ciò che io non faccio), la giudico (perchè fa quello che io reputo sbagliato), la detesto (perchè si permette di fare ciò che io non mi permetto di fare, pur volendolo fare).
Tutta questa mole di sentimenti io sono sicura che lei la deve aver percepita mentre le porgevo il piatto.
Tutta la mia negatività al di sotto di quella mano apparentemente così gentile e del mio sorriso affabile.
Così, si è rivolta a me dando uno schiaffo alla mia ipocrisia e alla mia bella facciata “Vuoi essere una cameriera? Bene, ti tratto da cameriera, nell’accezione peggiore del termine. Non sei nessuno”. Non avrai niente, nè uno sguardo nè un grazie.
Umiliazione e umiltà condividono la stessa radice: humu, che deriva da “terra”.
Chi è umile “sta a terra” e chi è umiliato viene buttato a terra, in senso dispregiativo.
Avete capito che la mia non è umiltà. E’ finta umiltà. E’ superbia travestita da umiltà.
Questa donna lo intuisce e mi smaschera.
E’ questo che mi manda in crisi e mi fa girare la testa. Perchè io sono così tanto presa dal mio personaggio, dalla mia bella identità sociale che io non me ne rendo nemmeno conto di quanto sono finta, di quanto poco autentica sono, di quali sono il mio vero desiderio e il mio vero bisogno in quel momento.
La mia amica, che ci ospita, è autentica. Ci ospita a casa sua perchè le fa piacere ospitarci. Ci prepara il pranzo, il caffé e il dolce perchè le fa piacere farlo.
Questo si vede dal fatto che non chiede aiuto, non si lamenta, chiacchiera con tutti mentre si occupa di noi, ci offre un buon cibo e una buona compagnia.
Lei sì che vuole soltanto ospitarci e che ci sentiamo ben accolti!
Quando una cosa viene dal cuore è pulita, limpida e non lascia strascichi.