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E’ il primo pomeriggio e sono in coda al supermercato.

C’è un’unica cassa aperta e io sono la terza persona in coda.
Davanti a me ci sono, nell’ordine: una signora che ha già caricato tutta la sua spesa (parecchia) sul nastro e la cassiera la sta battendo; un giovane uomo con qualche articolo in mano (lo chiameremo signor A); un uomo con il suo carrello (lo chiameremo signor B); io con un paio di prodotti in mano.
La cassiera chiama un collega alle casse e annuncia “Sta per aprire la cassa tre” (noi siamo alla quattro). Immediatamente il signor A si sposta alla cassa tre. Il signor B fa due passi verso la cassa tre, si ferma, guarda la quattro (dove nel frattempo la cassiera sta terminando di battere la spesa della signora), riflette qualche secondo, poi ritorna alla quattro. Anch’io mi muovo verso la tre, dietro al signor B. Osservo che tergiversa, mi fermo e aspetto.
Quando vedo che torna alla cassa quattro, vado alla tre.

Dopo circa mezzo minuto, dietro di me, alla tre, arriva una ragazza con una piccola spesa.
Accade che la cassa quattro si blocca: c’è un problema con il pagamento bancomat e i tempi si rallentano. Così, mentre alla cassa tre il signor A ha già fatto tutto e io ho già messo i miei articoli sul nastro, il signor B è ancora in attesa.

A quel punto la ragazza che è dopo di me gli dice “Vuole passare lei, che è in attesa da prima di me?”.
Lui accetta e ringrazia, viene alla tre, inizia ad appoggiare la spesa sul nastro e, mentre continua a ringraziare la ragazza dicendole “Lei è davvero gentile!”, aggiunge con un tono di voce un po’ più basso “Mica come la signora davanti a lei che mi è passata davanti come una spider!”.
La ragazza ride.
Io alzo la testa e lo guardo. Lui non mi guarda e continua a sistemare i prodotti sul nastro.
Io sento un forte batticuore, mi blocco per qualche secondo.
Pago, raccolgo la mia spesa e vado via.

Il batticuore poco a poco si calma, ma mi sento agitata.
L’impatto sono state le parole “la signora … mi è passata davanti…”.
Io non gli sono passata davanti, cosa si sta inventando..??

Eppure mi sento in colpa! Com’è possibile..?

Avrei voluto dirgli il fatto suo, e invece mi sono bloccata.
Perché?

Decido di prendermi il tempo per osservare e ragionare su quanto è successo.

Quest’uomo mi sta antipatico. Guarda come si comporta! Prima è indeciso, poi torna al suo posto, io rispetto la sua priorità, non mi muovo finché lui non ha deciso e alla fine mi sento accusare di avergli rubato il posto!
E oltre a questo, quando una persona lo fa passare, lui recrimina su quello che gli avrei fatto!

Tutta questa antipatia, questo giudizio che provo nei suoi confronti, mi indicano con certezza che sto proiettando una parte di me su di lui. Se non fosse così, io non mi sentirei turbata dalle sue parole e la sua accusa mi scivolerebbe addosso. Dunque, per quanto questo mi possa non piacere, il signor B è una parte di me.

Vediamo il suo comportamento: vuole cambiare cassa, poi ci ripensa e torna indietro. Si spazientisce e anche quando ottiene un posto migliore recrimina. Quest’uomo non è mai contento. Vuole fare la scelta migliore, andare alla cassa più rapida e invece sceglie quella più lenta.

Non è cosciente che è lui che ha effettuato la scelta, vive invece un senso di ingiustizia quando vede me avanzare. Si sente vittima e anche quando viene “salvato” dalla ragazza che gli cede il posto, non è soddisfatto.

Di fatto, questo è lo scotto da pagare quando si è nel ruolo della “vittima”.

Vivere un’ingiustizia, subire una situazione che non ci piace, ci garantisce una “innocenza” ma ha un costo: non ci si può muovere da lì e si è giocoforza destinati a soffrire.

E’ una posizione totalmente de-responsabilizzante.
Per continuare a essere innocenti, ci si deve mantenere in una posizione di impotenza e continuare a subire.

Dunque, il signor B si sente una mia vittima.

Ma per la legge della proiezione, anche in me ci dev’essere una “vittima”, altrimenti non mi smuoverebbe così tanto. E infatti c’è! Paradossalmente, anch’io mi sento una vittima sua! Anch’io sento di aver subito un’ingiustizia da parte sua!

Ma come..?! Rispetto il fatto che sei prima di me, ti lascio il tempo di decidere, mi muovo solo quando tu hai scelto e tu mi accusi di averti rubato il posto?! Come una spider, per di più!
Io sono una “brava persona” e tu mi accusi di essere una “ladra”?!

Per uscire da questo stato di accuse reciproche, osservo ora il mio comportamento.
Innanzitutto mi devo chiedere: io rispetto la sua priorità, è vero, ma lo faccio perché penso che sia giusto così, o perché voglio il suo riconoscimento?

Se lo faccio perchè io ritengo che questo è il comportamento che io voglio avere, allora io non ho bisogno che lui me lo riconosca. Lo faccio per me, per essere la persona che io voglio essere. Non per piacere agli altri.


Se invece dopo averlo fatto mi irrita che non mi venga riconosciuto, allora sto cercando di manipolare l’altro e di fargli provare nei miei confronti i sentimenti che io voglio che lui provi nei miei confronti.
Sono tutto l’opposto della vittima. Sto cercando di condizionare l’altro e, quando non ci riesco, e l’altro mi dice “Mi sei passata davanti” ecco che esce la mia frustrazione.

Il signor B è libero di pensare che io gli ho rubato il posto. Io so che non è così, e questo mi deve bastare.

Da parte mia, se osservo questo mio grande bisogno di venire “ben considerata”, suppongo di stare reprimendo una parte di me che vorrebbe agire d’impulso, senza stare di continuo a pensare a qual’è la cosa “giusta” da fare, smettendo di preoccuparmi per gli altri!
Se rivedo ora la scena, sento che mi piacerebbe, quando A si dirige alla cassa 3, fiondarmi dietro di lui come una spider, senza aspettare di vedere cosa fa o non fa il signor B!

Mentre all’inizio di questo resoconto il signor B ed io eravamo proprio agli antipodi, notate ora quante analogie ci sono tra di noi:

  1. entrambi abbiamo un impulso: “voler andare verso” (lui vuole andare alla cassa tre, io lo guardo e vorrei parlare)
  2. entrambe blocchiamo l’impulso (lui si ferma, io trattengo il fiato e la voce)
  3. entrambe ritorniamo sui nostri passi (lui torna alla quattro, io me ne vado).
  4. entrambe ci sentiamo vittime
  5. entrambe pensiamo di subire un’ingiustizia
  6. entrambe condividiamo un giudizio negativo nei confronti di chi agisce d’impulso.

Ciò che sembrava essere tutto l’opposto mio, ecco che si rivela essere una parte di me.

L’aspetto cruciale in tutto questo è il giudizio. Senza questo giudizio, tutta questa storia non esisterebbe.
Nel suo spostarsi verso la cassa tre c’è un’immediatezza, un agire senza pensare, d’impulso, come la cosa più ovvia da fare.

Poi deve arrivare un pensiero a dire “Stop!”.

Non so qual’è il suo pensiero, ma conosco i miei pensieri.
Il principale “Ti devi preoccupare per gli altri” e , a seguire “Le brave persone non passano davanti agli altri”, “Le brave persone non fanno scenate per delle sciocchezze”, “Bisogna sempre pensare prima di agire, sennò poi si sbaglia e ci si pente… “.
Tutti questi pensieri sono credenze. Idee che, nel corso della mia/nostra vita abbiamo imparato essere i valori da seguire.

Non sono sbagliate in sé; il fatto è che ci limitano, ci ingabbiano, ci dicono che questo è il modo “giusto” di essere e di agire, e quando ci comportiamo diversamente “facciamo male”.

Senza questi preconcetti, probabilmente ci saremmo potuti rivolgere direttamente l’un l’altro. “Signore scusi, lei resta alla quattro?, “Signora scusi, potrei passare? La cassa si è bloccata e sono in coda già da un po’…

Questo è quello che ci permette di uscire dalla frustrazione e iniziare a sentire soddisfazione.

Occupare il proprio posto, senza danneggiare gli altri e senza sentirsi di colpa.
Chiedere quello che si vuole, attivarsi per raggiungerlo. Smettere di preoccuparsi per gli altri e iniziare a occuparsi di sé.

Non essere salvato, ma iniziare a salvarmi.

Finché avremo bisogno che ci cedano il posto non avremo modo di sentire la nostra forza.

Non è spegnendo la stella che è in noi che le altre stelle brilleranno di più.