Martedì pomeriggio, mentre ero in pausa dal lavoro e stavo facendo qualche commissione in centro, passo davanti a dove ho posteggiato il mio scooter e mi accorgo che è stato spostato.
Lo scooter era posteggiato all’interno di uno stallo, in un’area a spina di pesce riservata ai motocicli. Un motociclista, per fare posto alla sua moto, ha tirato il mio scooter lateralmente e ha infilato il suo veicolo tra il mio scooter e un’altra moto, di modo che all’interno di due stalli ci stessero tre moto.
Il risultato era che c’era pochissimo spazio per fare manovra per uscire, in particolare per raddrizzare lo sterzo che, quando il veicolo è fermo, è tutto girato a sinistra e deve poi essere riportato diritto.
Quando vedo il mio scooter spostato, ho un sussulto! Non è la prima volta che succede e temo che, a trascinarlo sull’asfalto, il cavalletto si possa rompere. Ma non è solo questo.
E’ soprattutto che…
QUALCUNO HA SPOSTATO IL MIO SCOOTER!!!
Ero arrivata al mattino e tutti i posteggi erano occupati, così l’avevo lasciato in un punto dove c’era divieto, considerando che non avrebbe causato fastidi. Nella pausa pranzo ero scesa ed ero andata a vedere se si era liberato qualche posto. Così era infatti e dunque lo avevo spostato, mettendolo in uno stallo tutto per lui, con grande soddisfazione. Adesso era a posto!
Ed ecco che, dopo questa impegno e questa preoccupazione, qualcuno bellamente arriva, lo trascina, lo sposta e si fa spazio.
Mi sento offesa, arrabbiata e indignata. E sento che è una reazione eccessiva.
Lo scooter non si è rotto e lo spazio, seppur ristretto, è sufficiente per uscire. Oltretutto, io non devo uscire in quel momento. Sto solo passando di lì per caso (ma sappiamo che il caso non esiste…); può essere benissimo che per l’ora in cui io dovrò uscire una delle due moto ai lati se ne sia andata.
Mi rendo conto che sto caricando questa situazione di qualcosa che non è della situazione e decido di ragionarci su.
Innanzitutto, che cos’è tutta questa preoccupazione di parcheggiare “bene”?
Certamente non si tratta di lasciare lo scooter davanti a un passo carrabile, o sopra le strisce pedonali o cose del genere, però dove l’ho lasciato al mattino non è nessuna di queste circostanze. E’ all’inizio di una strada laterale, giusto prima del primo stallo contrassegnato, e il divieto c’è per permettere alle auto di avere lo spazio di svoltare. Anche con uno scooter parcheggiato lì, le auto e anche mezzi più grandi riescono a svoltare comodamente. Lo vedo. Dunque lo scooter potrebbe tranquillamente rimanere lì fino a sera. So anche che è davvero improbabile che mi venga data una multa per divieto di sosta. E comunque, anche se fosse, non sarebbe un cataclisma.
Dunque, lo scooter potrebbe tranquillamente rimanere lì, ma io non sono tranquilla. Io voglio che lui abbia un posto e per me questo significa che nessuno può toccarlo, nessuno può aver niente da ridire, né multarmi, niente. Sono a posto.
Qui vediamo un primo eccesso: io non cerco semplicemente parcheggio, perché se fosse solo questo io parcheggerei molto più velocemente di quanto faccio di solito. Io voglio un posto, uno spazio delimitato, con delle righe, dei “confini” ben marcati. Un posto che diventi mio e dove nessuno può entrare.
Alla polarità opposta (o, per meglio dire, complementare) a quella in cui mi trovo io, abbiamo il motociclista abusivo (lo chiamerò così), che, senza preoccuparsi tanto di strisce e di confini, cerca e guarda dove c’è spazio e, quando trova un’occasione, la prende (magari facendosi un pochino largo).
Osservando il comportamento di questo motociclista mi rendo conto che, paradossalmente, qui c’è qualcosa di davvero attraente per me.
Lui “guarda oltre” le strisce, guarda lo spazio che effettivamente c’è, considera anche di potersi ricavare lo spazio. Non se ne sta a quello che è segnato sulla strada, ma ha una visione più ampia dello spazio e soprattutto pensa di poter adattare lo spazio alle sue esigenze.
Wow! Quest’uomo (o donna) è un mito, lo vorrei conoscere! Provo ammirazione per chi guarda oltre, per chi non si ferma alla prima impressione ma ragiona con la propria testa e, aldilà dei vincoli, delle regole, dei codici, segue il proprio criterio.
E’ tutto l’opposto di quello che faccio io: io penso che posso stare solo dove le regole (le linee) mi dicono che posso stare. Sono io che mi devo adattare alle linee e non mi sfiora neanche l’idea che io potrei usare le linee secondo la mia necessità.
Io sono qui per il mondo. Oppure: il mondo è qui per me.
Sono credenze entrambe, con la differenza che la prima mi limita, la seconda mi potenzia.
Attenzione: non sto dicendo che le regole non servono a nulla e viva l’anarchia. Sto dicendo che entrambe le opzioni (rispettare gli spazi e usare gli spazi) sono valide, utili e necessarie in determinate circostanze e che si tratta di ragionare e considerare con la propria testa e il proprio criterio quando utilizzare l’una piuttosto che l’altra. Nessuna delle due è giusta o sbagliata; sono entrambe opzioni che ho bisogno di imparare a maneggiare.
Il mio eccesso (il mio problema) è dato dal fatto che io nove volte su dieci parcheggio solo se trovo gli spazi contrassegnati, altrimenti continuo a girare, perdendo tempo, sprecando benzina e inquinando. Potrei parcheggiare in alcuni punti ma, per la mia idea (per la mia credenza), non lo faccio e giro a vuoto.
Se proprio non trovo posto allora mi rassegno a parcheggiare in divieto, ma vedete con che senso di colpa lo faccio, al punto che uso parte della mia pausa pranzo per spostare la moto! Pur sapendo che non dà fastidio e che non succederà niente.
Perché giudico chi parcheggia “dove gli pare”.
Non so se l’altro motociclista sia solito parcheggiare sempre e solo dove gli pare (e dunque se lui si collochi nell’eccesso opposto). Quello che vedo è che lo fa in un momento in cui il posteggio è pieno, che quando sposta il mio scooter non lo rovina e che a me rimane comunque lo spazio per uscire.
Come per tutte le situazioni ripetitive, il principio per cui “se continua ad accadermi questo non è perché gli altri motociclisti sono tutti dei pirati della strada, ma perché questo c’entra con me e la Vita mi sta dicendo che ho bisogno di imparare qualcosa” si conferma fondato.
Vediamo come opera la proiezione: il comportamento dell’altro (parcheggiare abusivamente) è anche il mio (la mattina parcheggio in divieto). Siccome io giudico questo comportamento (penso che è sbagliato, irrispettoso delle regole), mi sento in colpa e in obbligo di scendere e andare a spostarlo, anche se non c’è una reale necessità.
Inoltre, quando vedo l’abuso dell’altro motociclista mi infiammo, mi indigno, penso che non si fa!
Infine, mi giustifico: il mio parcheggiare in divieto è meno grave del suo abuso. Io non do fastidio a nessuno, sono stata spinta dalla necessità e poi appena ho potuto sono andata a correggere quello che avevo fatto.
Nel momento in cui mi rendo conto che il comportamento che giudico nell’altro è anche il mio, come posso continuare a giudicare l’altro? Se mi comporto come lui..!
Inoltre, se sono onesta con me stessa, mi rendo conto che le mie giustificazioni sono bugie. Non posso sapere se davvero non do fastidio a nessuno: magari qualcuno passa, vede e dice “guarda che modo di parcheggiare!”. Non sono spinta dalla necessità quando lascio la moto in divieto, perché altri posti li avrei trovati, ma non li voglio. Appena posso correggo: d’accordo, lo sposto e lo metto a posto. Ma allora perché nel pomeriggio casualmente ripasso di lì? Cosa vado cercando?
Riprendersi la proiezione consiste nello smettere di giudicare l’altro per qualcosa che faccio anch’io, smettere di attribuire all’altro un’intenzione distruttiva all’altro mentre giustifico me stessa e rendermi conto che nessuno di noi due ha torto o ha ragione ma che, semplicemente, ci sono delle circostanze in cui il comportamento che condanniamo è utile e necessario, con le dovute accortezze.
Comportamento di cui adesso riconosco il valore e verso il quale provo ammirazione.
A questo punto posso ringraziare l’altro e ringraziare la Vita che attraverso questa piccola prova mi offre l’opportunità di maturare e di
cambiare il mio modello mentale,
iniziando a pensare che
il mondo è per me,
che c’è posto per me nel mondo
e che siamo tutti qui per collaborare e per condividere.
Sentendo che posso preoccuparmi meno di dove lasciare il mio adorato scooter, un posticino per lui (per noi) certamente c’è!