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Se io credo così fortemente che ci siano comportamenti giusti e comportamenti sbagliati, se voglio che i comportamenti giusti vengano premiati, allora devo volere anche che i comportamenti sbagliati vengano sanzionati.

Ed è vero. Mi rendo conto che io “credo” nella punizione.

Non sto dicendo che mi piace! Nè che la consideri una “buona” cosa. Quello che voglio dire è che in me, profondamente, ci sono credenze e valori che mi portano a dividere il mondo in buono e cattivo, in bene e male e a ritenere che il male vada punito.
E’ qualcosa di profondamente radicato in me, sul quale devo lavorare costantemente per esserne consapevole e agire in modo da non esserne dominata.

Ma in una situazione come questa, ecco che esce, così..!

Commetto un’infrazione, so che la commetto, nel mio inconscio questo è “sbagliato” e i comportamenti sbagliati vogliono la punizione. Ed eccola che arriva.
Per l’inconscio ciò che è sbagliato è sbagliato. Che sia io a sbagliare o che sia un altro, non fa differenza. Il nostro orgoglio ci fa pensare che i nostri comportamenti sbagliati sono meno sbagliati di quelli degli altri, ma non funziona così. Per il nostro inconscio quando una cosa è sbagliata, questa chiama la punizione, che sia verso gli altri o che sia verso di me. Per questo è stato detto “Il metro con cui misuri l’altro è lo stesso con cui misuri te stesso”.

Che possibilità ho a questo punto?

Quella di smettere di credere nella punizione.
La punizione non è la soluzione. Non dico che non sia necessaria. Segnala un problema. Ma non agisce sulla causa che ha portato alla situazione.
Nel mio caso: posso parcheggiare nell’area pedonale e commettere un’infrazione. Non per

questo sto facendo “male”. Se tolgo il giudizio, posso accettare la multa che, a quel punto, diventa solo una conseguenza, un effetto del mio comportamento, non è più una punizione.
Questo, a livello interno, cambia molto.

Ho preso una multa, non una punizione.
Un conto è la polarità causa – effetto. Un altro è la polarità colpa – punizione.

Se avvicino la mano alla fiamma mi scotto. Il fuoco brucia e quando avvicino la mano il calore mi scotta.
Questo è causa – effetto.

Se avvicinando la mano alla fiamma e scottandomi penso “Ma che stupida! Cos’ho nella testa?!” oppure, riferito al fuoco “Ma che cavolo! Fuoco di m…!” sono nella polarità colpa – punizione.

Se smetto, o se allento, di credere nella “colpa” e nella “punizione”, l’intenzione che muove i miei comportamenti cambierà.
Non sarò più spinta dal cercare il merito, il premio, il riconoscimento.
Agirò in un determinato modo perché ritengo che quello è il modo opportuno in quel frangente.

Dunque: ho un paio di ore libere per fare gli acquisti di Natale, vado a parcheggiare in centro perché così risparmio tempo. So che c’è molto traffico e non è detto che trovi posto. Ma ci provo e mi assumo le conseguenze, nel caso ce ne siano.
Non cerco di fare “bene” e così non mi sento oltraggiata se prendo la multa, perché non ho fatto “male”.

Le punizioni sono dure da sostenere. Le conseguenze lo sono meno.

Le punizioni chiamano vendetta, perchè le sentiamo ingiuste.
Le conseguenze finiscono lì. La fiamma mi brucia non perché lei è cattiva o io sono stupida a metterci la mano sopra. Mi brucia perché il fuoco crea combustione e la pelle è infiammabile.
Nessuno è cattivo e nessuno è stupido.

A questo punto mi rendo conto che il vigile che mi ha dato la multa è una parte di me, il mio complementare sull’asse merito-sanzione, premio-punizione, bene-male. Attraverso questo episodio la vita mi segnala che ho bisogno di integrare la mia polarità complementare, rendendomi conto che la questione non è con il vigile esterno, ma con il vigile/giudice che è dentro di me.

Adesso la multa è soltanto una multa. Non è più un affronto.