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L’episodio da cui voglio iniziare oggi è accaduto quasi un anno fa, mentre mi trovavo in vacanza in Grecia. Ci sono state poi situazioni analoghe che si sono verificate e ripetute nel corso degli ultimi mesi che mi hanno fatto rendere conto che, seppure in misura minore, il fastidio che ho provato quella volta in Grecia è ancora presente. Capisco che quello che sento ora è la punta dell’iceberg: se c’è la punta, sotto c’è l’iceberg, gigantesco quanto il mio giudizio!

Il fatto è questo: sono in vacanza in Grecia e, una sera dopo cena, mentre sto facendo una passeggiata, entro in un bel negozio di libri e souvenir. Decido di acquistare un libro e vado alla cassa per pagare. Il libro costa 13.99 euro e io porgo alla commessa una banconota da 20 euro. Lei mi restituisce una banconota da 5 euro e una moneta da 1 euro, mi fa un grande sorriso e mi saluta. Anch’io le sorrido, la saluto ed esco dal negozio.

E il centesimo?

Qualche mese fa, sono a Genova, entro in un supermercato e acquisto un paio di prodotti. Alla cassa pago in contanti e la commessa mi porge il resto a cui mancano, stavolta, due centesimi. Dico: “Due centesimi..?”. La commessa, una ragazza sui vent’anni, ha un sussulto e arrossisce leggermente, poi mi spiega che “per legge” loro sono autorizzati a fare un arrotondamento. Io dico “Va bene”, ringrazio, saluto ed esco.

E’ vero. Mi sono informata e ho scoperto che a seguito di un decreto legge del 2017, che ha sospeso il conio delle monetine da 1 e 2 centesimi, per evitare difficoltà ai supermercati nel dare il resto, la legge prevede che quando il pagamento avviene in contanti debba essere effettuato un arrotondamento per difetto o per eccesso al multiplo di cinque più vicino.

Dunque è una misura legittima.

Ma a una parte di me questa misura non sembra legittima per niente! Un’ingiustizia bella e buona, una questione di principio, sono i miei soldi e via avanti di questo passo…
Cerco di calmarla, di farla ragionare: é un eccesso, stiamo parlando di un centesimo, quelle monetine che riempiono il portafogli e danno solo fastidio, l’arrotondamento vale anche al contrario (a favore mio), ma niente, non riesco a convincerla.

Mi vergogno tanto di questa parte di me: la giudico una taccagna, esagerata, rigida, pedante… Non voglio comprenderla, voglio zittirla e possibilmente eliminarla.
Però lei c’é! E se c’é, io so che c’é per un motivo, so che ha le sue ragioni, ha un senso. Mi sta segnalando qualcosa, qualcosa che ho bisogno di comprendere e integrare.

Dunque inizio la mia osservazione.

La prima cosa che noto è che ciò che la mantiene così attiva e rivendicativa è, paradossalmente, la vergogna che provo per lei. Se io non me ne vergognassi, se io non la giudicassi, la potrei guardare con uno sguardo pulito, trasparente, senza ricamarci tanto sopra. Invece, siccome la giudico, cerco di zittirla e di reprimerla e questo produce esattamente il contrario di quello che vorrei, ovvero che si fa sentire ancora di più.

Un po’ come quando abbiamo sul fuoco una pentola piena d’acqua che bolle. Perché l’acqua non schizzi fuori noi ci mettiamo sopra un bel coperchio. Così il bollore aumenta e l’acqua schizza fuori ancora di più!

Dunque, scosto un po’ il coperchio (metaforicamente parlando) e allento un po’ il giudizio.

La guardo con più calma, a distanza e mi accorgo, a quel punto, che non sono l’unica che prova vergogna: la commessa che ha un sussulto e arrossisce alla mia domanda mi mostra il suo imbarazzo. Forse non sono la prima che le fa quella domanda, forse qualcuno ha già protestato e si è lamentato, forse lei stessa pensa che non è una misura proprio legittima… Fatto sta che non è tranquilla mentre mi risponde e questo per me è un segnale interessante.

A quel punto noto un’altra cosa: è solo un centesimo, eppure tutti lo vogliono!
Io lo voglio, i negozianti lo vogliono… se tutti lo vogliono, allora non è solo un centesimo. Oltretutto, non c’è solo un un centesimo, ma due un centesimo: c’è infatti anche un altro centesimo in ballo, quello del libro che costa 13.99 euro. Perché non costa 14 euro? Sarebbe così semplice…

Questa è la contraddizione che la mia parte arrabbiata mi rimanda e questo è il motivo per cui non ascolta ragioni: se il negozio non me lo restituisce non è vero che non sono soldi e che non vale niente, deve valere qualcosa, sennò il negozio non lo vorrebbe! Dunque, è evidente:

Un centesimo non è solo un centesimo, vale molto di più!

La verità è che UN centesimo è UN centesimo. Il suo valore è sempre lo stesso, per me cliente e per il negozio. Un centesimo alla volta e si arriva ai milioni.

La parte di me che è arrabbiata dice “E’ ben di più di un centesimo!”. La parte di me che la vuole placare le dice “E’ solo un centesimo!”.

Nego e abbasso il mio valore:”Un centesimo non sono mica soldi, cosa te ne devi fare?”.
Questo è il motivo per cui la mia parte “arrabbiata e spilorcia” non se la mette via, non accetta che il suo valore venga messo in discussione.

I negozi, invece, non abbassano e non sminuiscono il valore del centesimo e per questo lo vogliono. Non si vergognano di volere un centesimo. Conoscete il detto “Un centesimo risparmiato è un centesimo guadagnato”? I negozi vogliono guadagnare.

Davanti a questo comportamento, che è il comportamento che io vorrei avere ma che non mi permetto di avere, perchè lo giudico, provo rabbia e invidia. E ammirazione.

Arrivata a questo punto, cos’é che la vita mi sta dicendo che ho bisogno di imparare?

Lo scopriremo nella seconda parte di questo articolo, alla prossima.