Vi capita mai di sentirvi rispondere “Sì, lo so…”?
In realtà voi non avevate chiesto alla tal persona se sapeva la tal cosa, però la persona vi risponde che “lo sa”. Oppure potreste rendervi conto ora che siete voi che a volte rispondete “Sì, lo so…” a qualcuno.
Nel mio lavoro con i pazienti mi succede abbastanza spesso.
Io gli domando “Per quale motivo hai fatto o hai detto la tal cosa?” e mi sento rispondere “Sì, lo so…”.
Quel “Si, lo so” non è la risposta alla mia domanda, ma è la risposta a quello che loro in realtà pensano che io stia sottintendendo con quella domanda. Sì lo so che vuoi dirmi che ho sbagliato, sì lo so che pensi che non avrei dovuto farlo, sì lo so che pensi che non è giusto…
Quello che loro pensano che io pensi, in realtà lo pensano anche loro, tant’è che al sì lo so segue invariabimente un ma o un però: Sì lo so che non avrei dovuto farlo/che non è giusto/ che non mi fa bene PERO’ l’ho fatto lo stesso.
Lo so, però lo faccio ugualmente.
Per cambiare non basta sapere, bisogna sentire. Non basta capire, bisogna comprendere.
Finchè so qualcosa, la capisco, ne sono a conoscenza, ma non la comprendo.
Comprenderla è molto di più che capirla. E’ prenderla con me, portarla dentro di me, farla mia. Questo passaggio può avvenire solo se sentiamo l’emozione connessa con il nostro comportamento. Nel si lo so c’è “non mi ci far ritornare sopra, lo so da me, non me lo ricordare, non rigirare il coltello nella piaga… non me lo far sentire”.
Facciamo un esempio.
Una paziente mi racconta “Sono le dieci di sera e suona il telefono. Vedo che è mia madre. Le ho detto che non mi chiami alla sera, che sono stanca, che voglio riposarmi, che preferisco che ci sentiamo al mattino, ma lei niente! Continua a chiamarmi la sera tardi!”
Allora io domando: E tu cosa hai fatto?
E lei “Ho risposto!”
E perchè hai risposto?
E lei “Sì, lo so… “
Sottinteso: so che non avrei dovuto, so che era la cosa sbagliata da fare, so che non è giusto, però mi sentivo in colpa a non rispondere. In fondo cosa mi è costato, dieci minuti al telefono e lei è più tranquilla…
Lo so che non c’è motivo che mi senta in colpa a non risponderle, lo so che non è successo niente, lo so che se c’è un problema mi può mandare un messaggio o chiamare mio fratello o i pompieri…
Lo so, ma non lo voglio sentire, perché se lo sento devo fare la rivoluzione.
Smettere di rispondere alle chiamate fuori orario significa musi lunghi, colpevolizzazioni, ricatti che io devo sostenere. E’ un impegno grande. Non sempre siamo pronti.
Però (qui sì ci va un però!) se vogliamo che la nostra vita migliori, se vogliamo stare bene, sentirci meritevoli di rispetto e di affetto, allora dobbiamo (nel senso che è necessario) passare attraverso il sentire.
Sentire la colpa, per affrontarla e trascenderla.
Sentire la paura, per affrontarla e trascenderla. Sentire la solitudine, per affrontarla e trascenderla.
Prendere con noi e rendere nostro quello che sappiamo.
Se ti ho detto mille volte “Non mi chiamare alle dieci di sera, non mi chiamare alle dieci di sera!”. E se insisti a chiamare alle dieci di sera io non rispondo in quel momento, perchè, come ti ho spiegato, a quell’ora voglio stare tranquilla, rilassarmi davanti a un film o con mio marito o con un libro e prepararmi per la notte. E poi domattina ci sentiamo.
Comprendere ci aiuta a sviluppare coerenza: penso, sento e agisco tutto in una direzione.
E ognuna di queste tre cose aiuta e favorisce il rafforzamento delle altre due: magari mi sento un po’ in colpa all’inizio, ma poi agendo così vedo che non succede niente, mia madre non è morta perchè io non ho risposto e io ho passato una serata serena e ho dormito tranquilla. Questo mi sarà d’incoraggiamento per la volta seguente.
E’ vero, comprendere richiede un grande impegno. D’altra parte se fosse facile lo avremmo già fatto. Rendere nostro qualcosa che fino a quel momento abbiamo guardato e lasciato lì dove si trovava richiede una forte motivazione, deteminazione, perseveranza… non è semplice.
Però è possibile.