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Calmando la mente.
E come si calma la mente? Smettendo di pensare. E come si smette di pensare? Rilassandosi.
E come ci si rilassa? Calmandosi!

Ecco un piccolo esempio di uno di quei tipici circuiti viziosi in cui entriamo quando siamo in ansia. Come faccio a calmarmi? Calmandomi! Il paradosso è che più mi dico che mi devo calmare, più mi innervosisco e mi agito perché non ci riesco. E’ come un cane che si morde la coda.

Dunque, proviamo a fermarci e a ragionare.

La prima cosa, infatti, è fermarci, dato che nell’ansia c’è accelerazione e fretta di uscirne.
Proviamo a pensare che non ne dobbiamo uscire e che l’ansia non è il problema. Non è contro di noi. E’ un sintomo, è la spia che si accende sul cruscotto dell’auto per segnalarci che qualcosa non va e che c’è bisogno di passare dal meccanico.

Quando diciamo che siamo in ansia stiamo dando una definizione molto generica di quelli che sono in realtà una gran varietà di sintomi e segnali molto diversi tra loro e ognuno con una sua peculiarità: pressione al petto, difficoltà a respirare, battito cardiaco accelerato, sudorazione, insonnia…

Ma possiamo ritrovare un denominatore comune a tutte queste situazioni ed è il senso di costrizione.
Il termine ansia, infatti, deriva dal latino angere “stringere”. Anche angoscia, da molti considerato un sinonimo di ansia, deriva da angusto, stretto.

Se sento ansia qualcosa mi sta stringendo o costringendo.

La cosa interessante è che ciò che mi costringe non è un problema oggettivo. L’ansia, difatti, è una paura senza motivo. Quando ne soffriamo ci sentiamo in attesa di un pericolo imprecisato e imprevedibile.
Dunque, se non c’è un problema oggettivo, l’ansia andrà calmata, tranquillizzata, allentata, non risolta.

D’altra parte se l’ansia è un sintomo, un problema che la provoca ci deve essere. E infatti c’è. Ed è questo che va risolto.

Ma andiamo, giustappunto, con calma. E andiamo a ri-scoprire che cos’è la calma.
Calma è un concetto familiare a tutti noi, ma quando andiamo a ricercare il suo etimo, scopriamo che nell’origine di questa parola è custodito un significato davvero potente e inaspettato.

Il termine calma deriva dal latino tardo cauma, dal greco kauma “ardore, vampa”, derivato di kaien “bruciare”.

L’etimo associa la calma al bruciare, all’ardere.

Pensiamo a cosa resta di un bosco dopo che un incendio ha bruciato tutto…. Erba bruciata, rami secchi… più nulla che ondeggia e si muove con l’aria, con il vento… non più fiori che si aprono con il sole e si chiudono con il buio… tutto fermo.
La calma è questo: tutto fermo. E il fuoco è l’elemento che più di ogni altro può distruggere e portare all’immobilità.

Che cos’è che si muove, quando sento ansia? Che cos’è che ha bisogno di fermarsi?
La mente. La mente che si muove ininterrottamente tra passato e futuro.
L’effetto principale dell’ansia è quello di renderci incapaci di vivere il momento presente.

La persona ansiosa si preoccupa e pensa continuamente al futuro (immaginando cose che potrebbero non verificarsi mai) o anche al passato (a cose apprese, accadute, vissute, a sé stessa o ad altri), sentendosi limitata e impotente, senza potersi affidare al naturale fluire della vita. Parla molto del suo passato, di quello che ha imparato, vissuto o di quello che è accaduto agli altri. Ha un’immaginazione fertile e passa molto tempo immaginando cose che è del tutto improbabile che accadano. E’ alla continua ricerca di segnali che provino che ha motivi per preoccuparsi.

Questo è un punto chiave: la persona ansiosa si pre-occupa. Il che significa che pensa prima che le cose accadono, ma non agisce in maniera congruente.
E’ come quell’uomo che, di notte, mentre sta rientrando a casa, perde la chiave. Anziché cercarla dove l’ha perduta, si mette a cercarla sotto un lampione “perché qui c’è la luce”.

Se l’uomo vuole ritrovare la chiave e rientrare in casa ha bisogno di procurarsi una piletta e mettersi a cercare la chiave lì dove l’ha perduta.

L’ansia non è il problema, ma è causata da un problema che il più delle volte passa inavvertito o sottovalutato (rimane al buio, come la chiave dell’uomo).
Per individuarlo, abbiamo bisogno di puntare una luce in una direzione diversa da quella dove ci portano i nostri pensieri e chiederci:

Che cosa mi sto obbligando a fare, che non ho voglia di fare?

Oppure, all’inverso: che cos’è che vorrei fare che non mi permetto di fare? Qual’è la tensione, l’obbligazione alla quale mi sento sottoposto?
A quel punto posso, e devo, agire.
Dire “no”, quando ho voglia di dire di no e dire “sì”, quando ho voglia di dire sì.

Quando entriamo in una crisi d’ansia è la nostra immaginazione che sta prendendo il sopravvento. Stiamo anticipando ciò che pensiamo potrebbe accadere se facessimo o dicessimo questo o quello.

Abbiamo bisogno di imparare a decidere che non dobbiamo dimostrare nulla. Abbiamo bisogno di imparare ad essere noi stessi, con i nostri errori e le nostre qualità, come tutti.

La mente non ha esperienze precedenti su cui basarsi. Riesce a immaginare il futuro solo per come è stato il passato e in questo modo lo ipoteca.

Siamo come l’uomo della chiave: non ha una luce con sé, dunque si mette a cercare sotto il lampione. Sa che gli serve la luce, ma non pensa a procurarsela.

C’è solo una possibilità: reinventarsi.

Reinventarsi è lasciar morire il vecchio, rinunciare alla sicurezza di fare quello che abbiamo fatto

fino a quel momento. E’ mettere in moto un modo nuovo di stare al mondo. La mente pensa, si preoccupa, vaga, rimugina, ma trova solo opinioni.

Ma la luce dov’é? Come procurarcela? Attraverso l’esperienza.

L’esperienza è adesso, nel qui e ora, in questo momento e la prima cosa da fare è mantenere la mente nella calma, ovvero nel momento presente, ciò che ci permetterà di riconoscere il cammino da seguire.
Abbiamo bisogno di sviluppare un nuovo modello mentale:

io mi approvo e posso confidare nel processo della vita.

Abbiamo bisogno di imparare ad avere fiducia che la nostra intuizione ci saprà guidare, se gliene daremo l’opportunità.

Non importa se sbaglio, importa ch’io viva.