“Ama il prossimo tuo come te stesso”.
La mia interpretazione di questa frase è cambiata nel corso degli anni.
Fino a un po’ di tempo fa la vivevo come un monito, un’esortazione severa ad amare di più gli altri. Nella mia percezione assumeva un significato del tipo “Ami troppo te stessa e troppo poco gli altri! Dovresti amare di più gli altri e meno te stessa!”.
Ma c’era qualcosa che non tornava…
Come si fa a dire “Dovresti amare”? L’amore è un’emozione, non si può provare a comando! E poi, perchè non sarebbe bastato dire “Ama il prossimo”? Perchè legarlo a “Come te stesso”? E se il problema era che io mi amo troppo, perché non dire semplicemente “Amati meno”?
Un’altra frase mi veniva in mente, con un effetto analogo: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Di nuovo: non sarebbe bastato dire “Non fare male agli altri”? Perchè continuare ad abbinare gli altri con me?
C’è stato un momento in cui mi sono detta: se queste frasi dicessero semplicemente quello che dicono, non ci sarebbero tutti i problemi che ci sono. Basterebbe seguire questa semplice regola: quello che fai a te, fallo anche agli altri e quello che non fai a te non farlo nemmeno agli altri.
E invece no. Invece i problemi ci sono. Ci sono dolori, traumi, sofferenze…
Così, sono arrivata a pensare che queste frasi dicessero altro.
Sono arrivata a pensare che quello che queste frasi mi esortano a fare è “amare me stessa” e “non danneggiare me stessa”. Perchè solo se amo me stessa e mi tratto con amore posso amare e trattare con amore il prossimo. Il monito, per me, è diventato: “Ama te stessa, così amerai gli altri”.
Amare sé stessi è tutt’altro che scontato.
Nel mio lavoro vedo questo continuamente: tutti cercano qualcuno che li ami (un genitore, un partner, un figlio, un amico…) e quando si parla di cominciare ad amare sè stessi le reazioni vanno dal senso di impotenza alla rassegnazione, passando per il fastidio.
Tantissime persone spendono letteralmente le loro vite nel tentativo di farsi amare dagli altri, sperando di “trovare l’amore”; si struggono pensando ai loro genitori che non le hanno amate abbastanza (qualche volta davvero poco…) e, così facendo, restano ancorate al passato e a tutte le esperienze traumatiche e non amorevoli che hanno vissuto. Ma non riescono nemmeno a concepire la possibilità che questo amore, che cercano fuori, in realtà si trovi al loro interno e spetti a loro stessi donarselo.
Dal mio punto di vista, alla base di tutto questo ci sono un errore di fondo e un fraintendimento. Per provare a capirci qualcosa, dobbiamo innanzitutto chiarire cos’è l’amore. E che cosa non è amore.
L’amore è sempre incondizionato e può essere solo nella libertà.
Non c’è un altro modo.
Detto questo, propongo che ognuno di noi si domandi: “Io mi amo incondizionatamente e in totale libertà?” Quanti di noi sono in grado di rispondere, onestamente, con un SI a questa domanda?
Se rispondiamo con un No, l’errore che stiamo commettendo consiste nel credere che l’amore sia condizionato.
Se crediamo che l’amore sia condizionato, allora per essere meritevole d’amore dovremo soddisfare dei requisiti. Così è fin da subito, fin dall’infanzia “Non fare questo! Non dire quello! Comportati bene! Studia di più! Sii educato!”.
Quanti di noi provano amore per le proprie caratteristiche (che finiamo per definire difetti), per i propri bisogni (che finiamo col definire limiti), per le proprie peculiarità (che finiamo per definire stranezze), per i propri errori (che finiamo col definire colpe)?
Ogni bambino cresce imparando che, se vuole l’amore dei genitori, deve essere e comportarsi in un certo modo.
Avete notato che ho scritto amore in corsivo? Perchè qui c’è il fraintendimento. Amare condizionatamente non è amare. Amare condizionatamente è mercanteggiare.
L’amore, per come abbiamo imparato ad intenderlo, è mercato
Io faccio qualcosa per te e mi aspetto che tu faccia qualcosa per me. Dò, aspettandomi di ricevere.
Come mi comporto io, così ritengo che ti debba comportare tu.
Quando voglio che qualcuno provi per me quello che io voglio che provi per me o che faccia per me quello che io voglio che faccia per me, questo… questo è egoismo.
E quando diciamo che noi amiamo gli altri, molte volte quello che stiamo facendo in realtà è cercare di piacere a quella persona, cercare di renderci amabili, o necessari, pensando che in quel modo ci amerà. Dunque… stiamo manipolando.
Avete presente la delusione e la rabbia quando non veniamo ricambiati… Ci sentiamo pieni di rancore e arrabbiati con noi stessi! Ci diciamo: sono stato uno stupido, una stupida!
Ma la stupidità qui non c’entra niente.
Mi fermo qui, per ora. Nella seconda parte dell’articolo vi proporrò ulteriori considerazioni sul modo in cui l’egoismo e la manipolazione condizionano la nostra capacità di amare.
Vi aspetto, a presto!