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Per iniziare a ragionare sul tema della provocazione non possiamo che partire dall’etimologia di questo termine.

Provocare

dal latino provocare, propriamente “chiamar fuori, far uscire”, composto di pro “avanti” e vocare “chiamare”.

Quando ci provocano ci stanno “facendo uscir fuori”, ci stanno facendo venire allo scoperto rispetto ad aspetti di noi che rifiutiamo, che ci indignano e di cui non tolleriamo la presenza. In breve, aspetti di noi che giudichiamo e che vorremmo eliminare. Soprattutto, che nascondiamo.

Quando vivo un’affermazione come provocatoria sto pensando che quella certa cosa, l’oggetto dell’affermazione, è sbagliato, non va bene, lo devo nascondere. Vivo nella paura che gli altri se ne accorgano e lo vedano. A causa del MIO giudizio credo che gli altri in qualche modo useranno quell’informazione per farmi del male, non fosse altro che per prendermi in giro e deridermi.

Questo spesso si realizza (poichè in effetti ciò in cui credo, lo creo), ma solo in virtù del fatto che IO mi giudico.

La cosa curiosa e un po’ incredibile della provocazione, infatti, è che molto spesso siamo noi gli unici a crederci e a ritenerla così inaccettabile!
Spesso il provocatore stuzzica il provocato su una certa questione verso la quale non necessariamente il provocatore ha un giudizio o un parere così negativo, ma SA che il provocato sì. Dunque dice la tal cosa non perchè lui pensi che sia così ignobile ma, appunto, per provocare una reazione nel provocato. Per chiamarlo fuori, farlo venire allo scoperto, farlo uscire dal nascondiglio, perchè altri vedano questo aspetto di lui, di cui lui si vergogna, per farlo vergognare. Spesso poi la provocazione verte su una questione “piccola”, per cui la reazione del provocato appare ancora più esagerata e fuori luogo.

E’ toccare l’altro in un punto che all’altro duole, sapendo che gli duole. Ed è questo il punto critico: che gli duole. Se non gli dolesse, la provocazione non potrebbe avere luogo.
Il dolore è esagerato rispetto alla questione in sè, il che fa apparire il provocato ancora più in un eccesso e la provocazione ancora più insignificante.

E’ una piccola vendetta.

Facciamo un esempio:
poniamo che io sia una persona che ci tiene moltissimo alla puntualità. Faccio in modo di arrivare sempre puntuale e non sopporto quando gli altri arrivano in ritardo.
Un giorno ho appuntamento con mio marito alle 15 e arrivo alle 15.02.
Mio marito, serio, mi dice “Sei in ritardo”. Io, che ho corso e mi sono affannata perchè mi hanno bloccata in ufficio e non potevo andarmene, lo guardo stralunata e gli dico “No! Sono le tre! Non sono in ritardo” e lui “No, sono le tre e due minuti!”. “Capirai” ribatto io, “per due minuti, tutte le volte che io aspetto te…!!”.
Io lì sono già arrabbiata, indignata “Come può dirmi una cosa del genere?! Lui arriva molto più spesso di me in ritardo! Per una volta..!!”.
A quel punto, potrei intravedere in lui un’espressione sorniona e capire che mi sta prendendo in giro, che mi sta provocando. Provo a dirglielo “Mi prendi in giro?” ma lui resiste e insiste “No, no, sei proprio arrivata in ritardo!”.
Io VOGLIO che mi riconosca che io non arrivo mai in ritardo, ma lui non lo fa.
Dentro di me covano l’offesa e il risentimento.

E’ evidente che l’altro non condivide il mio giudizio sull’arrivare in ritardo.
A volte arriva in ritardo e non si scusa particolarmente.
Ma io sì gli faccio notare e pesare che è in ritardo e che io l’ho aspettato, perchè io sono sempre puntuale. Quello che gli sto dicendo é “Io ho ragione e tu hai torto. Io faccio bene e tu sbagli”.

E’ possibile che lui senta il peso di questo e che senta rabbia.
Quando sbaglierò io, coglierà la palla al balzo e mi ripagherà con la stessa moneta.
In più si divertirà a vedermi andare fuori dai gangheri, perchè quando cogliamo il punto debole di una persona che pensa di non sbagliare mai e glielo mostriamo ci sentiamo per una volta noi dalla parte di quelli che hanno ragione e non sbagliano mai!

Il provocatore vuole che cadiamo nella rete e noi… ci cadiamo.

E’ una tentazione troppo forte.
Il giudizio che abbiamo di quella data cosa è troppo prepotente, ci domina, vorremmo resistere ma non ci riusciamo.
Il giudice dentro di noi dice “Scagionati immediatamente da quest’accusa infamante!” e nell’istante in cui lo facciamo, ci copriamo di un’infamia ancora peggiore: siamo eccessivi, esagerati, montiamo in collera, abbiamo reazioni sproporzionate che gli altri non capiscono “Ma se non ti ha detto niente!“, diventiamo ridicoli.

La chiave di tutto è il giudizio che IO ho

A questo punto avrete capito che la chiave di tutto è il giudizio che IO ho.
Se io non pensassi che arrivare in ritardo è una cosa così orribile, se anche arrivassi due minuti dopo e mio marito me lo facesse notare, non mi agiterei così tanto.

E’ al giudice che è al nostro interno che dovremmo cominciare a dire “Non mi provocare! Stai tranquillo… non è successo niente di drammatico… è solo un ritardo, non la fine del mondo”.
E’ quello che credo veramente di me, che fa la differenza.
Se credo che per essere una brava persona non devo tardare mai, allora se tardo sono finita.

Ma se io non mi identifico con questo, se io so di essere una persona che fa del suo meglio per rispettare gli appuntamente e i tempi, suoi e degli altri, allora so che un ritardo non necessariamente è una mancanza di rispetto o un atto di maleducazione.
So di non essere questo, o solo questo. So di essere molto di più di questo e che non è una singola azione che mi definisce.

Cambiando le mie credenze, smettendo di pensare che arrivare con qualche minuto di ritardo è male, è un affronto, posso permettermi di rilassarmi un poco, affannarmi un po’ meno e constatare che a volte capita di arrivare un po’ dopo e la vita va avanti comunque.
Non per questo sono una cattiva persona.

L’intenzione che sottende un comportamento è infinitamente più importante del comportamento in sé.