A vederlo ora mi sembra un paradosso così incredibile… E’ da quando sono adolescente che dico
che me ne voglio andare di casa e non ne voglio sapere di famiglia! A diciannove anni ho lasciato la
casa dei miei genitori, ho viaggiato, ho vissuto con tanta gente diversa, in diverse città, anche
all’estero, ho fatto una marea di traslochi…
Sono sempre stata indipendente, ho sempre dichiarato “L’indipendenza per me è una cosa sacra!”.
E poi guarda…
In un posto profondo e nascosto, dentro al mio cuore, ho continuato a bramare e anelare di stare in
famiglia.
Sin da bambina sentivo il dovere di stare in famiglia.
Tutti avevano sempre lavorato tanto, dunque dovevo lavorare tanto anch’io. Tutti avevano sofferto
tanto, dunque dovevo soffrire anch’io. Tutti avevano girovagato tanto, dunque dovevo girovagare
anch’io.
E sentivo il bisogno di stare in famiglia.
Il bisogno di essere accettata, di sentirmi parte. Io volevo essere una di loro. Perché io non mi sono
mai sentita “della famiglia”.
“Oh! Che strana questa bambina!”, “Eh! Cosa stai lì a fare quello… fai quell’altro!”, “Mah… io
proprio non ti capisco..”.
Questo era il genere di frasi che mi sentivo dire.
E anche quando erano apprezzamenti, c’era sempre questa nota di stranezza “Che brava
studentessa… pensa un po’… a Cristina piace studiare…!”.
Un bambino fuori dal clan è perduto. Mi sentivo strana, mi sentivo diversa. Anche quando ero
“migliore”, non ero mai una di loro. O criticata o lodata. O più in basso o più in alto. Sempre a
distanza.
Queste esperienze mi hanno segnato così tanto che, tuttora, quando sono in un gruppo, se ascolto
attentamente dentro di me, in fondo in fondo sento ancora la vocina che dice “Che ci faccio qui..?”.
Mi dicevo che dovevo essere come loro, fare come loro, vivere come loro, e allora forse sarei stata
una di loro. Questa era la mia credenza. E, in qualche modo, me lo dico tuttora, ci credo tuttora.
Ed è qui le formiche mi vengono in aiuto!
Ho scoperto, infatti, che, pur essendo parte di una grande colonia, non tutte le formiche fanno le
stesse cose! Abbiamo molti pregiudizi sulle formiche, che non corrispondono alla realtà.
Non è vero che tutte le formiche lavorano, alcune non fanno un bel niente!
Alcune si riempiono di cibo in modo da diventare riserva di cibo per le compagne (pensate un po’!),
altre racchiudono del veleno (la formaldeide, appunto) per respingere i predatori, altre combattono,
altre vanno a caccia di cibo da immagazzinare…
Ognuna ha un ruolo ben preciso e la loro potenza si fonda sul fatto che ognuna contribuisce, per la
sua parte e nella sua specificità, al mantenimento e all’evoluzione della colonia.
Se non mantengo la casa di famiglia, se non vivo nel luogo di origine della mia famiglia, se non
porto avanti il lavoro di famiglia, non sono di famiglia. Questo è quello che ho sempre pensato.
Questo è la credenza su cui si fonda il mio senso di colpa quando vendo la casa.
Perché penso che se vendo la casa, do via anche la relazione con i miei. Non appartengo più. Mi
separo definitivamente da loro. Ma non è vero.
Vendo la casa e con quello che ricavo porto avanti la mia vita, i miei progetti, le mie scelte.
Uso il passato, per quanto mi è necessario, per costruire il futuro che io voglio per me.
Non mi stacco da nessuno. Non abbandono nessuno. Semplicemente, vado avanti. Continuo a
camminare. Progredisco. Evolvo. E, quando io evolvo, tutto il clan evolve con me.
Nessuno ha mai studiato né si è mai laureato prima di me. Io sì, mi sono laureata. Una nuova abilità
raggiunta. Nessuno ha mai lavorato se non alle dipendenze. Io lavoro come libera professionista. Una nuova abilità raggiunta. E’ grazie a tutti loro che sono arrivata qui e grazie a me la famiglia è arrivata qui e proseguirà da qui.
Se guardo le cose da questa prospettiva non c’è motivo che mi senta in colpa.
Invece posso, e devo, sentirmi onorata.
Grazie a me, la famiglia ha fatto ulteriori passi avanti. Ho portato il mio contributo. Ed essendone
ora consapevole, me ne sento contenta. Posso smettere di bramare il riconoscimento dei miei
familiari. Io sono contenta di dove sono arrivata. Non perché sia chissà cosa, ma perché sono dove
voglio essere, faccio quello che voglio fare.
Certamente sono diversa da tutti loro, ma questo non è più un problema. E’ una peculiarità e una
specialità.
Non possiamo essere tutti agricoltori o tutti dottori a questo mondo. Sono entrambe opzioni valide e
c’è bisogno di entrambe.
Ricordo il mio nonno, con quanta attenzione e passione leggeva il giornale. Era un momento
sacrosanto della giornata, guai a disturbarlo. Il desiderio di conoscere segue tante strade e alla fine arriva qualcuno che lo prende in mano e lo rende concreto. E così, in famiglia, c’è anche uno “studiato”! Uno che fa un lavoro di intelletto.
L’altro giorno c’era una formica sul letto. Lì, sola soletta…
Fino a ieri avrei pensato: povera formichina, sola soletta, sperduta, in mezzo a questo lenzuolo
grande come l’oceano..!
Mi rendo conto ora che posso smetterla di sentirmi così. Quella formica è un’esploratrice! Aver fatto scelte diverse, aver preso strade diverse non mi ha in alcun modo allontanato da i miei
familiari, al contrario. Mi ha permesso di dare il mio personale e speciale contributo a tutti loro.
Quello che solo io e nessun altro avrebbe potuto dare.
Ed è così che dovrebbe sempre essere.
Che ognuno si senta libero e in diritto di fare quello che è bravo a fare, quello che solo lui sa fare, per riconoscere e onorare “il padre e la madre”.