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Siamo in tanti ad avere paura del conflitto, io per prima. Nel mio lavoro vedo continuamente che alla base di tanti comportamenti e tante situazioni che ci causano disagio c’è il tentativo, a volte disperato, di evitare un conflitto.

Ma che cos’ha il conflitto di così terribile?
Perché ne abbiamo così paura?

La vita è fatta di conflitti… Viviamo a contatto con gli altri con cui continuamente nascono conflitti… Dentro di noi sviluppiamo conflitti di tutti i tipi… Insomma, dovremmo esserci abituati e sapere che siamo in grado di superarli! E invece, appena possiamo, li evitiamo come la peste.

Il fatto è che il conflitto è inevitabile.

Ed è inevitabile perché ha a che fare con l’essenza stessa del nostro sviluppo, della nostra crescita come persone.

Chi ha paura del conflitto?

Chi ha paura di essere sé stesso.

Conoscete qualcuno che non ha mai paura di essere sé stesso? Io no.
Alcuni di noi ne hanno tantissima, altri un po’ meno, però per tutti noi essere sé stessi comporta una lotta, a volte davvero aspra e intensa. Come ho detto all’inizio, anch’io ho paura di essere me stessa. Meno che in passato, però ne ho ancora. Ma non l’ho sempre avuta!

Questo è curioso, perché se ripenso a me da bambina e anche da adolescente non avevo per niente paura del conflitto! (Qualcuno di voi si ritrova in questo?). 

Poi con la giovinezza, l’età adulta, le tante prove che ci sono state, mi sono sentita via via più debole e ne ho avuto paura, in alcuni momenti tanta paura.

Da qualche anno la tendenza si è di nuovo invertita, ma non nel senso di ritornare alla ribellione adolescenziale o all’innocenza dell’infanzia. Diciamo che è arrivata una maturità che mi ha aiutata a ragionare su me stessa, sulle scelte che facevo, sui conflitti stessi che vivevo e che mi ha permesso di affrontarli in un modo più adulto, senza né sfidarli né subirli. 

Mi sono sentita più forte e che mi potevo permettere di essere un po’ di più me stessa. In che modo, infatti, la paura del conflitto ha a che fare con la paura di essere sé stessi? E come è possibile avere paura di essere chi siamo? Iniziamo dall’etimologia di questo termine. 

Conflitto: deriva dal latino confligere, con il significato di “combattere”.

Se penso a me, a situazioni in cui ho combattuto (metaforicamente parlando), mi rendo conto che quello che mi faceva paura era la possibilità di prendermele, di perdere, di fallire, di subire conseguenze sgradevoli, di venire punita, di venire abbandonata. Era quello che l’altro mi poteva fare (o che io pensavo che mi potesse fare) che mi faceva paura, non il conflitto in sé.

Ora, se mettiamo da parte le situazioni in cui siamo bambini e rischiamo oggettivamente di prenderle, o situazioni da adulti in cui rischiamo oggettivamente qualcosa di grosso, se guardiamo i mille conflitti che popolano il nostro quotidiano, le possibilità di subire conseguenze pesanti sono relativamente limitate.

E, se queste possibilità ci sono, allora la nostra paura è una paura buona, fondata, positiva, che ciaiuta a evitare di metterci in pericolo. La maggior parte delle conseguenze che rischiamo hanno a che fare con ritorsioni più di tipo morale o emotivo “Mi hai delusa… non siamo più amici… tra noi è finita… … sei un’ingrata…

sono arrabbiato con te…” e via avanti (credo che ognuno di noi ha un ampio corollario di frasi che si è sentito dire nella vita).

Queste reazioni possono certamente suscitare dolore, però, in tanti casi è un dolore sproporzionato all’evento in sé. Diventa però proporzionato se quella situazione ci riporta ad una situazione analoga vissuta nell’infanzia e che non è mai stata gestita come avrebbe avuto bisogno di essere gestita.

Personalmente, una delle paure più grandi che ho provato nella vita, per molti molti anni, è stata la paura di rimanere sola. Se mi guardo indietro adesso mi dico “Ma come è possibile?!”.

Un adulto non può avere così tanta paura di rimanere solo. Ma un bambino sì. Il bambino dice “No! Non voglio! Non lo faccio!” e così facendo afferma sé stesso, la sua volontà, il suo essere. Afferma la sua persona, la sua individualità, la sua personalità.

Per un genitore può essere molto difficile sostenere questo. Potrebbe non sapere come si fa, potrebbe provare rabbia, senso di inadeguatezza, sopraffazione…

Se il genitore non riesce a trovare dentro di sé la forza per dare limiti al bambino in un modo che tenga conto del suo bisogno di essere riconosciuto e amato come persona a sé stante, ricorrerà a mezzi come il castigo, la punizione, le sgridate, le minacce, la colpevolizzazione, la manipolazione. Il bambino si trova a vivere un primo grande conflitto: io sono come sono, sono chi sono.

Ma, se sono come sono, ma madre e mio padre non mi ameranno.

Davanti a questo conflitto il bambino deve cedere. Perché è solo un bambino e perché per un bambino l’amore del genitore è indispensabile per sopravvivere, come l’aria per respirare. Capisce che deve cedere il suo essere in cambio dell’accettazione del genitore.

Va detto, perché nessuno si senta giudicato, che questo stesso processo e questo stesso conflitto è stato vissuto anche dal genitore. E dal genitore prima di lui. E’ un conflitto che tutti abbiamo vissuto, nessuno escluso.

Mi fermo qui, per ora.  Nella seconda parte dell’articolo vi illustrerò attraverso un esempio in che modo un conflitto ci mette di fronte alla scelta fra l’essere chi siamo veramente e essere chi pensiamo di dover essere. Vi racconterò di un padre e di un figlio, ma anche di un nonno e vi mostrerò come i conflitti si ripetono sempre uguali, non per rovinarci la vita, ma perché vogliono una soluzione diversa.

A presto!