Emma ha 30 anni e una laurea in Economia. Sta facendo un dottorato all’interno di un’università dove è seguita da un professore con il quale collabora nella realizzazione di corsi, conferenze, progetti vari. Questo professore è molto attivo e creativo e per Emma è molto stimolante lavorare con lui.
Non sempre i loro orari coincidono; a volte il professore è assente perché occupato con lezioni esterne o con altri impegni di lavoro. Capita così che per qualche giorno non si vedano e non abbiano modo di comunicare di persona.
In quelle occasioni il professore le dice “Emma, per favore, fammi avere gli orari in cui ti posso chiamare nei prossimi giorni, nel caso in cui avessi necessità”.
Emma gli manda una mail indicandogli giorno per giorno gli orari in cui sarà raggiungibile “Martedì mi può trovare dalle 16 alle 18, giovedì dalle 9 alle 10, ecc.”.
Puntualmente quello che accade è che il professore la chiama al di fuori degli orari che lei gli ha indicato. Lei, quando vede che lui la sta chiamando, interrompe quello che sta facendo e gli risponde.
Si sente infastidita dal fatto che lui chiami fuori dall’orario che lei gli ha indicato, ma non può non rispondere.
Per di più, quando risponde, lui esordisce dicendo “So che questo non è l’orario che mi hai indicato ma… (ridacchiando) è aperto l’ufficio..??”.
Emma si morde le labbra, si sforza di sorridere e dice “Sì, certo, non c’è problema…”.
E invece il problema c’è.
E non è il comportamento del professore.
Certo, potremmo pensare: il professore non dovrebbe chiamare in quel momento! Dovrebbe chiamare negli orari che lei gli dà, tanto più che è proprio lui che glieli ha chiesti. Se lui chiamasse negli orari giusti, non ci sarebbe nessun problema!
Questo è: ricercare la causa del problema fuori.
Ma noi siamo qui perché vogliamo cambiare prospettiva, giusto? Vogliamo guardare a quello che succede da un altro punto di vista… per farlo, dobbiamo cercare la causa dentro, non più fuori.
E il problema è dentro, dentro Emma, dentro ai suoi pensieri.
Lo vediamo da come si comporta:
- Risponde pur non volendo rispondere.
- Non gli dice quello che pensa veramente “Prof, l’ufficio è chiuso! Possiamo sentirci tra un’ora?”, oppure, ancora più schiettamente “Perchè mi chiama fuori degli orari?”.
- Dice che non c’è problema, quando invece il problema c’è.
Certamente il professore mette in atto quel comportamento e noi lo possiamo etichettare in tanti modi (irrispettoso, scorretto, invadente…), ma resta il fatto che ogni volta che lui lo fa (perché ricordiamo che questo accade ripetutamente) Emma non segnala mai che a lei non va bene.
Stringe le labbra, si sforza di sorridere e dice “Nessun problema, prof! Ci sono!”.
Rendiamoci conto che con la sua risposta lei rinforza e giustifica il comportamento di lui.
E’ come se gli dicesse “Non ti preoccupare, fai pure! Gli orari che ti ho dato non contano più di tanto, io sono disponibile sempre…”.
La persona irrispettosa è Emma, nei confronti di sè stessa.
“Ma il professore dovrebbe capirlo! Se gli si dice di chiamare alle quattro, che chiami alle quattro! Emma è gentile, non glielo vuole far pesare, lui lo dovrebbe capire!”.
E invece no. Non lo deve capire.
Un bambino si aspetta, giustamente, che i grandi lo capiscano. Ma un Adulto no. L’adulto non ha bisogno che gli altri lo capiscano. Certo se ne può dispiacere, può accusare il colpo, ma non lo pretende, non lo esige.
Nel momento in cui Emma si aspetta che il professore la capisca, non è nella sua parte adulta.
E’ la bambina che parla con il padre.
Non è una donna adulta quando risponde al telefono. E’ una bambina che pensa “Se faccio questo il papà sarà contento di me, mi terrà con sé!”. Simbolicamente il professore è un padre per lei. E lei si sta sforzando di fare di tutto per compiacerlo e ottenere la sua approvazione.
Emma sta facendo un’esperienza lavorativa che per lei è importantissima e questo professore è stimato e considerato da tutti. Si sente la sua pupilla, la figlia speciale, sente che lui ha bisogno di lei. Grazie a questo spera di avanzare ancora, di fare carriera, di migliorare sempre di più la sua posizione.
Grazie a lui… attraverso di lui… Improvvisamente, ne è dipendente. È lei che ha bisogno di lui.
Se fino a un attimo prima era lei che manipolava la situazione, ora sente che è lei che ne è manipolata. Da sentirsi quella speciale, si ritrova a sentirsi quella insignificante, ordinaria… se non si muove, un’altra prenderà il suo posto!
Cominciamo a comprendere a che scopo si comporta come si comporta.
- Perchè risponde se non vuole rispondere? Perché pensa che ne avrà un vantaggio: “Se sono sempre disponibile lui mi apprezzerà e io diventerò indispensabile per lui”. Lo sta manipolando.
- Perché non gli dice quello che pensa veramente? Perché se lo facesse e gli desse un limite, forse lui si arrabbierebbe, forse non sarebbe contento di lei, forse cercherebbe altri collaboratori… Il punto è che lei pensa di non valere abbastanza di per sé stessa. Pensa di poter essere sostituita, di non avere valore in sé, di avere bisogno di un altro per andare avanti…
- Perché dice che non c’è problema, quando invece il problema c’è? Non vuole ammettere che è lei che ha un problema. Vuole che il professore capisca, che il professore cambi. Non vuole assumere su di sé l’impegno e la responsabilità della sua vita. Non vuole crescere. Ha paura di crescere, non sa come si fa.
Oscilla tra sentirsi speciale e sentirsi insignificante.
E’ questa oscillazione che la tiene bloccata e fa sì che lei non possa non rispondere.
Se andiamo a guardare nella storia di Emma, troviamo un padre che ha bisogno che sua figlia sia speciale. Un padre che, per la sua storia, per i suoi vissuti, le sue ferite, non vede Emma, la persona che lei è. Vede in sua figlia qualcuno che lo può riscattare dai suoi sentimenti di inadeguatezza e di inferiorità. Proietta su di lei questo bisogno di riscatto e ne fa in qualche modo il suo trofeo.
Per la bambina questo può essere esaltante. Si sente portata in palmo di mano dal padre, si sente speciale e migliore dei suoi fratelli e sorelle, incluso della madre. Ma deve reprimere il suo essere autentico per essere ciò che il padre vuole che lei sia. E deve reprimere il suo senso di inadeguatezza e insicurezza, la paura per sentirsi così dipendente dallo sguardo del padre.
Emma ha bisogno di imparare a credere in sé stessa.
Siamo speciali o insignificanti per qualcuno.
Per il fuori, per qualcuno che sta fuori.
Emma, come ognuno di noi, ha bisogno di iniziare a guardarsi dentro e a cercare il suo riferimento al suo interno…. Che senso ha essere sempre disponibili per gli altri, se non lo siamo mai verso noi stessi?
Che senso ha sorridere, quando dentro siamo arrabbiati? Che senso ha pretendere il rispetto dagli altri quando siamo noi per primi che non ci rispettiamo?
In questo senso, seguendo la nuova prospettiva che stiamo adottando, arriviamo ad una conclusione sorprendente.
Se adesso ci chiedessimo “Ma perché il professore continua a chiederle gli orari in cui la può chiamare e poi la chiama quando gli pare a lui?” la risposta sarebbe: perché Emma impari a non rispondere o, al limite, a rispondere dicendogli “L’ufficio è chiuso, prof! Ora non posso, ci sentiamo tra un’ora”.
Questo è quello che il professore sta (inconsciamente) aspettando. Questo è ciò che Emma ha bisogno di iniziare a sviluppare: assertività, fiducia in sé stessa, imparare a dare limiti.
Questo è ciò di cui la loro relazione ha bisogno.
Una relazione tra adulti, fondata sulla parità, sul rispetto, sull’onestà.
Ognuno è speciale, di per sé stesso. Ognuno è unico, irripetibile, peculiare, straordinario rispetto a sé stesso.
Ed è alla nostra persona e al nostro essere che abbiamo bisogno di rivolgere lo sguardo per poter vedere davvero gli altri.